Posts written by Shining Star

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    Lodevole gesto di un comandante romano

    Quinto Metello mentre assediava lla città di Centobrigia, facendo la guerra contro i Celtiberi, in Spagna dando l'impressione di essere oramai sul punto di abbattere quella zona del muro , che - sola poteva esser abbattuta preferì un atto di umanità all'imminente vittoria.
    Infatti, poiché gli abitanti di Centobrigia avevano esposto i figli di Retogene - che era passato dalla sua parte (quella di Metello) ai colpi della macchina (d'assedio), abbandonò l'assedio, Affinchè i fanciulli non venissero orribilmente uccisi davanti agli occhi del padre, per quanto lo stesso Retogene negava che c'era alcun impedimento a che si ultimasse l'espugnazione , anche a costo dell'uccisione del proprio sangue. Dopo aver dimostrato tanta generosità (lett. a causa di un atto), (Metello) - seppure non (conquistò) le mura di quell'unica cittadina - si conquistò tuttavia gli animi di tutte le città celtiberiche, e ottenne che non gli furono necessari molti assedi per ridurle sotto il dominio del popolo romano; ovvero, le città ben disposte nei confronti di Metello - si piegarono alla sua conquista senza opporre eccessive resistenze.
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    Versione Chi muore per la patria ottiene l'immortalità



    Placet igitur mihi, patres conscripti, legionis Martiae militibus et eis, qui una pugnantes occiderint, monumentum fieri quam amplissimum. Magna atque incredibilia sunt in rem publicam huius merita legionis. Haec se prima latrocinio abrupit Antoni, haec tenuit Albam, haec se ad Caesarem contulit, hanc imitata quarta legio parem virtutis gloriam consecuta est. Quarta victrix desiderat neminem; ex Martia non nulli in ipsa victoria conciderunt. O fortunata mors, quae naturae debita pro patria est potissimum reddita! Vos vero patriae natos iudico, quorum etiam nomen a Marte est, ut idem deus urbem hanc gentibus, vos huic urbi genuisse videatur. In fuga foeda mors est, in victoria gloriosa. Etenim Mars ipse ex acie fortissimum quemque pignerari solet. Illi igitur impii, quos cecidistis, etiam ad inferos poenas parricidii luent, vos vero, qui extremum spiritum in victoria effudistis, piorum estis sedem et locum consecuti. Brevis a natura vita vobis data est, at memoria bene redditae vitae sempiterna. Quae si non esset longior quam haec vita, quis esset tam amens, qui maximis laboribus et periculis ad summam laudem gloriamque contenderet?
    ctum igitur praeclare vobiscum, fortissimi, dum vixistis, nunc vero etiam sanctissimi milites, quod vestra virtus neque oblivione eorum, qui nunc sunt, nec reticentia posterorum sepulta esse poterit, cum vobis inmortale monumentum suis paene manibus senatus populusque Romanus exstruxerit. Multi saepe exercitus Punicis, Gallicis, Italicis bellis clari et magni fuerunt, nec tamen ullis tale genus honoris tributum est. Atque utinam maiora possemus, quandoquidem a vobis maxima accepimus! Vos ab urbe furentem Antonium avertistis, vos redire molientem reppulistis. Erit igitur exstructa moles opere magnifico incisaeque litterae divinae virtutis testes sempiternae, numquam de vobis eorum, qui aut videbunt vestrum monumentum aut audient, gratissimus sermo conticescet. Ita pro mortali condicione vitae inmortalitatem estis consecuti.
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    Dunque ho deciso, o senatori, di realizzare il monumento più grande possibile per i soldati della legione Marzia e per coloro che sono morti combattendo insieme. Grandi e incredibili sono i meriti di questa legione nei confronti dello Stato. Questa per prima si liberò dalla rapina di Antonio, questa occupò Alba, questa si recò presso Cesare e imitando questa, di pari valore. la quarta legione conseguì la gloria.
    La quarta, vittoriosa, non lamenta la perdita di nessuno; dalla legione Marzia, invece, alcuni caddero insieme perfino nella vittoria. O morte propizia, che, pur essendo dovuta alla natura, è soprattutto data per la patria. In verità vi ritengo figli della patria, il cui nome viene anche da Marte, in modo che sembri che lo stesso dio abbia generato questa città per i popoli e voi per questa città.
    La morte è turpe nella fuga ma gloriosa nella vittoria. E infatti Marte in persona suole prendersi i più valorosi in battaglia. Dunque gli empi, che voi avete ucciso, pagheranno il fio per parricidio anche negli Inferi, mentre voi, che avete esalato l’ultimo respiro nella vittoria, avete raggiunto le sedi e i luoghi dei pii. Vi è stata concessa dalla natura una vita breve, ma pure la memoria perenne di una vita resa bene.
    Se essa non fosse più lunga di questa vita, chi sarebbe tanto folle da competere per la massima lode e gloria con i più grandi pericoli e fatiche. Dunque è andata benissimo per voi, o fortissimi, finché avete vissuto, ma ancora venerandissimi, perché il vostro valore non potrà essere sepolto né dall’oblio di coloro che ora esistono né dal silenzio dei posteri, dato che il senato e il popolo romano hanno costruito, quasi con le proprie mani, un monumento imperituro per voi.
    Spesso vi furono molti eserciti illustri e potenti durante le guerre contro i Cartaginesi, i Galli e gli Italici; tuttavia, tal genere di onore non fu tributato a nessuno di loro. Oh, se potessimo , dal momento che da voi abbiamo ricevuto le cose più grandi! Voi avete scacciato dalla città il furioso Antonimo, voi lo avete respinto mentre si accingeva a tornare. Sarà dunque innalzato un edificio gigantesco di straordinaria fattura e vi saranno incise lettere divine, eterni testimoni di valore; mai tacerà il discorso assai riconoscente su di voi da parte di coloro che o vedranno il vostro monumento o ne sentiranno parlare.
    Così otterrete l’immortalità in luogo della condizione mortale della vita.
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    La forza dell'orso
    L'orso è un animale che mangia tutto; infatti mangia anche i frutti e con l'agilità del (suo) corpo sale sugli alberi. Mangia anche il miele, i gamberi, le formiche e la carne. Con forza si avventa non solo contro i cervi ma anche contro i cinghiali e i tori. Infatti, correndo incontro al toro, cade giù supino e, poiché il toro lo vuole ferire, afferra con le braccia le corna e con la bocca morde la sporgenza della spalla e uccide il toro.
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    Versione - Achille travestito da donna - Igino




    Versione - Achille travestito da donna - Igino
    Thetis Nereis, cum sciret Achillem filium suum quem ex Peleo habebat, si ad Troiam expugnandam isset, periturum (esse), commendavit eum in insulam Scyron ad Lycomedem regem, quem ille inter virgines filias, habitu feminino, servabat mutato nomine; nam virginas Pyrrham nomiaverunt, quondam capillis flavi fuit et Grasce rufum pyrrhon dicitur. Achivi autem, cum rescissent ibi eum occultari, ad regem Lycomedem oratores miserunt qui rogarent ut eum adiutorium Danais mitteret. Rex, cum negaret apud se esse, potestatem eis fecit ut in regia quaererent. Qui cum intellegere non possent quis esset earum, ulixes in regio vestibolo munera femminea posuit, in quibus clipeum et hastam, et subito tubicinem iussit canere armorumque crepitum et clamorem fieri iussit. Achilles, hostem arbitrans esse, vestem muliebrem dilaniavit atque clipeum et hastam arripuit. Ex hoc est cognitus suasque operas Argivis promisit et milites Myrmidones.


    Traduzione
    Teti, figlia di Nereo, quando seppe che suo figlio Achille, che aveva da Peleo, sarebbe morto se fosse andato ad espugnare Troia, lo condusse nell’isola di Sciro dal re Licomede, tra le sue figlie ancora ragazze, in abiti femminili dopo avergli cambiato nome; infatti le ragazze lo chiamarono Pirra, poiché era di capelli biondi e in greco biondo si dice “phirron”. Ma gli Achei, quando seppero che egli era nascosto là, mandarono dei messaggeri dal re Licomede, che chiedevano lo mandasse in aiuto ai Danai. Il re, poiché negò che fosse presso di lui, diede loro il permesso di ricercarlo nella reggia. Poiché non potevano capire chi fosse tra quelle, Ulisse mise all’ingresso del palazzo dei doni femminili, tra i quali uno scudo e una lancia, e subito ordinò al trombettiere di suonare e comandò che si facessero uno strepito d’armi e un grido di battaglia. Achille, che pensava fosse il nemico, strappò via la veste femminile e afferrò lo scudo e la lancia. Da ciò fu scoperto e promise i suoi servigi agli Argivi e i soldati Mirmidoni.
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    Versione - Cincinnato salva Roma




    Cincinnato salva Roma
    Aequi,antiquus Latii populus,consulis Minucii exercitum apud Algidum montem profligaverant et cum ingentibus copiis Romae moenia obsidebant.Animi omnium Romanorum civium magno metu capti sunt,quia grave periculum rei publicae libertati impendebat.Ideo Lucius Quinctius Cincinnatus,qui iam consul fuerat et Romanos exercitus ad victoriam duxerat,a senatu dictator creatus est.Sed Cincinnatus,qui iam(ormai) a publicis negotiis se removerat,ruri vivebat et suum agellum trans Tiberim colebat.Nam in agro eum(lo) invenerunt senatus legati,qui ei(a lui,gli) senatorum iussa renuntiaverunt.
    Cincinnatus statim aratrum reliquit et Romam adiit,ubi dictatoris insignia(le insegne) sumpsit et contra hostes exercitum duxit.Aequorum copiae Romanorum militum impetui non restiterunt et in suos fines redierunt.
    Cincinnatus Romae triumphavit sed post paucos dies dictatura abdicavit et ad suum agellum trans Tiberim rediit.


    Traduzione
    Gli Equi, antico popolo del Lazio, avevano sconfitto l'esercito del console Minucio presso il monte Algido e avevano assediato le mura di Roma con ingenti truppe. Gli animi di tutti i romani furono presi da grande terrore, poichè impendeva un grave pericolo sulla libertà dello stato. Così L. Cincinnato, che già era stato console e aveva condotto i romani alla vittoria, venne creato dal senato dittatore. Ma Cincinnato, che oramai si era distaccato dai pubblici affari, viveva in campagna e coltivava il suo orticello al di là del Tevere. Infatti nel campo lo trovarono gli ambasciatori del senato, che gli annunciarono gli ordini dei senatori. Cincinnato subito lasciò l'aratro e andò a Roma, dove prese le insegne del dittatore e condusse l'esercito contro i nemici. Le truppe degli Equi non resis*****ro all'impeto dei soldati romani e tornarono ai loro confini. Cincinnato tornò a roma ma dopo pochi giorni lasciò la dittatura e tornò al suo orticello al di là del Tevere.
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    Legati introducti in senatum maxime in hanc sententiam locuti sunt



    Versione
    Legati introducti in senatum maxime in hanc sententiam locuti sunt. "Populus nos Campanus legatos ad vos, patres conscripti, misit amicitiam in perpetuum, auxilium in praesens a vobis petitum. Quam si secundis rebus nostris petissemus, sicut coepta celerius, ita infirmiore vinculo contracta esset; tunc enim, ut qui ex aequo nos venisse in amicitiam meminissemus, amici forsitan pariter ac nunc, subiecti atque obnoxii vobis minus essemus; nunc, misericordia vestra conciliati auxilioque in dubiis rebus defensi, beneficium quoque acceptum colamus oportet, ne ingrati atque omni ope divina humanaque indigni videamur. Neque hercule, quod Samnites priores amici sociique vobis facti sunt, ad id valere arbitror ne nos in amicitiam accipiamur sed ut ii vetustate et gradu honoris nos praestent; neque enim foedere Samnitium, ne qua nova iungeretis foedera, cautum est. Fuit quidem apud vos semper satis iusta causa amicitiae, velle eum vobis amicum esse qui vos appeteret: Campani, etsi fortuna praesens magnifice loqui prohibet, non urbis amplitudine, non agri ubertate ulli populo praeterquam vobis cedentes, haud parva, ut arbitror, accessio bonis rebus vestris in amicitiam venimus vestram. Aequis Volscisque, aeternis hostibus huius urbis, quandocumque se moverint, ab tergo erimus, et quod vos pro salute nostra priores feceritis, id nos pro imperio vestro et gloria semper faciemus. Subactis his gentibus quae inter nos vosque sunt, quod propediem futurum spondet et virtus et fortuna vestra, continens imperium usque ad nos habebitis. Acerbum ac miserum est quod fateri nos fortuna nostra cogit: eo ventum est, patres conscripti, ut aut amicorum aut inimicorum Campani simus. Si defenditis, vestri, si deseritis, Samnitium erimus; Capuam ergo et Campaniam omnem vestris an Samnitium viribus accedere malitis, deliberate. Omnibus quidem, Romani, vestram misericordiam, vestrum auxilium aequum est patere, iis tamen maxime, qui ea implorantibus aliis auxilium dum supra vires suas praestant, [ante] omnes ipsi in hanc necessitatem venerunt. Quamquam pugnavimus verbo pro Sidicinis, re pro nobis, cum videremus finitimum populum nefario latrocinio Samnitium peti et, ubi conflagrassent Sidicini, ad nos traiecturum illud incendium esse. Nec enim nunc, quia dolent iniuriam acceptam Samnites sed quia gaudent oblatam sibi esse causam, oppugnatum nos veniunt. An, si ultio irae haec et non occasio cupiditatis explendae esset, parum fuit quod semel in Sidicino agro, iterum in Campania ipsa legiones nostras cecidere? Quae est ista tam infesta ira quam per duas acies fusus sanguis explere non potuerit? Adde huc populationem agrorum, praedas hominum atque pecudum actas, incendia villarum ac ruinas, omnia ferro ignique vastata. Hiscine ira expleri non potuit? Sed cupiditas explenda est. Ea ad oppugnandam Capuam rapit; aut delere urbem pulcherrimam aut ipsi possidere volunt. Sed vos potius, Romani, beneficio vestro occupate eam quam illos habere per maleficium sinatis. Non loquor apud recusantem iusta bella populum; sed tamen, si ostenderitis auxilia vestra, ne bello quidem arbitror vobis opus fore. Vsque ad nos contemptus Samnitium pervenit, supra non ascendit; itaque umbra vestri auxilii, Romani, tegi possumus, quidquid deinde habuerimus, quidquid ipsi fuerimus, vestrum id omne existimaturi. Vobis arabitur ager Campanus, vobis Capua urbs frequentabitur; conditorum, parentium, deorum immortalium numero nobis eritis; nulla colonia vestra erit, quae nos obsequio erga vos fideque superet. Adnuite, patres conscripti, nutum numenque vestrum invictum Campanis et iubete sperare incolumem Capuam futuram. Qua frequentia omnium generum multitudinis prosequente creditis nos illinc profectos? Quam omnia votorum lacrimarumque plena reliquisse? In qua nunc exspectatione senatum populumque Campanum, coniuges liberosque nostros esse? Stare omnem multitudinem ad portas viam hinc ferentem prospectantes certum habeo. Quid illis nos, patres conscripti, sollicitis ac pendentibus animi renuntiare iubetis? Alterum responsum salutem victoriam lucem ac libertatem; alterum -- ominari horreo quae ferat. Proinde ut aut de vestris futuris sociis atque amicis aut nusquam ullis futuris nobis consulite."


    Traduzione
    Gli ambasciatori dei Campani introdotti al cospetto del senato, pronunciarono un discorso di questo tenore: "Il popolo campano ci ha inviati a voi, senatori, come ambasciatori, per chiedervi di concederci la vostra eterna amicizia e un aiuto nella circostanza presente. Se ve l'avessimo chiesto in un momento di prosperità, voi ce l'avreste concesso ben più rapidamente, fondandovi però su vincoli meno saldi. In tal caso, memori di essere entrati in rapporti amichevoli con voi su un piano di assoluta parità, forse saremmo stati vostri amici come lo siamo adesso, ma meno vincolati e sottomessi a voi. Ma ora, conquistati dalla vostra umanità nei nostri confronti e protetti dal vostro aiuto in questa difficile congiuntura, dobbiamo rendere il giusto onore anche al beneficio ottenuto, per non dare l'impressione di essere ingrati e indegni di ogni soccorso divino e umano. Ma non pensiamo neppure, per Ercole, che il fatto che i Sanniti siano diventati vostri amici e alleati prima di noi, possa costituire un ostacolo all'essere accolti nel novero dei vostri amici, quanto piuttosto che la cosa porti quel popolo ad avere su di noi un vantaggio in relazione alla priorità e al grado di onore. E infatti nel vostro trattato con i Sanniti non c'erano clausole che impedissero la stipulazione di altri trattati. Un motivo sufficientemente giusto per stringere legami di amicizia voi avete sempre ritenuto fosse il desiderare che entrassero nel novero dei vostri amici quanti si rivolgevano a voi: noi Campani, anche se la disgrazia presente non ci consente un linguaggio troppo altezzoso, non essendo secondi a nessuno - salvo che a voi - per lo splendore delle città e per la fertilità dei campi, ora che ci associamo a voi, apportiamo, come è nostra opinione, un incremento non trascurabile al vostro benessere. Ogni qual volta Equi e Volsci, eterni nemici di questa città, si muoveranno, noi li incalzeremo alle spalle. E ciò che voi avrete fatto per primi per la nostra sopravvivenza, noi lo faremo sempre per la vostra potenza e la vostra gloria. Non appena avrete assoggettato i popoli stanziati tra i nostri e i vostri territori - il vostro valore e la vostra buona sorte garantiscono che presto avverrà -, il vostro potere si estenderà senza interruzioni fino alla nostra terra. è triste e penoso ciò che la nostra disgrazia ci costringe ad ammettere: la situazione, senatori, è a una svolta: noi Campani finiremo nella mani di nemici oppure di amici. Se ci proteggerete, saremo vostri; se invece ci abbandonerete, saremo dei Sanniti. Considerate dunque se è meglio che Capua e l'intera Campania vadano ad accrescere il potere di Roma oppure quello dei Sanniti. è giusto che la vostra misericordia e la vostra disponibilità ad aiutare siano aperte a tutti, ma in special modo a quanti, per aver offerto aiuto superiore alle proprie forze ad altri che lo imploravano, si sono venuti a trovare essi stessi nella medesima necessità. E anche se apparentemente abbiamo combattuto per i Sidicini, mentre in realtà combattevamo per noi, lo abbiamo fatto vedendo un popolo limitrofo crudelmente assalito dal brigantaggio dei Sanniti, e sentendoci minacciati da quell'incendio non appena la conflagrazione avesse inghiottito i Sidicini. E infatti i Sanniti sono venuti ad attaccarci proprio in questo momento non per il risentimento suscitato da un'offesa, quanto piuttosto per la gioia che sia stato loro offerto un pretesto per farlo. Altrimenti, se questa fosse solo una vendetta e non un'occasione buona per placare la loro bramosia, non sarebbe stato sufficiente ai Sanniti aver decimato le nostre legioni una prima volta nel territorio dei Sidicini e poi in Campania? Quale furia è mai questa, se non basta il sangue versato da due eserciti per placarla? A tutto questo aggiungete poi le razzie nei campi, il bottino in uomini e animali, gli incendi e le distruzioni delle fattorie e la devastazione seminata ovunque. Possibile che tutto questo non abbia soddisfatto la loro ira? Ma è la loro bramosia che va saziata! è quel sentimento che li spinge a occupare Capua, e a desiderare che la più bella delle città vada in rovina o finisca in mano loro. Conquistatela voi, o Romani, con la vostra generosità, piuttosto che permettere a quella gente di impossessarsene con l'inganno. Non ci rivolgiamo a un popolo abituato a rifiutare le guerre quando sono giuste. Tuttavia, se solo metterete in campo il vostro aiuto, pensiamo che non avrete nemmeno bisogno di ricorrere alle armi. Il nostro risentimento nei confronti dei Sanniti ha raggiunto un punto oltre il quale non può andare: per questo, anche solo l'ombra del vostro aiuto, o Romani, è in grado di proteggerci e qualunque cosa d'ora in poi avremo, qualunque cosa diventeremo, noi la considereremo interamente vostra. Le terre della Campania verranno arate per voi, e per voi si affolleranno le strade di Capua. E voi sarete per noi i fondatori, i genitori, gli dèi immortali. Nessuna vostra colonia ci saprà superare quanto a obbedienza e lealtà. Acconsentite, senatori, col vostro cenno e la vostra volontà invitta alle preghiere dei Campani, dateci la speranza che la nostra città possa avere un domani. Forse non immaginate quale folla, di ogni genere, abbia accompagnato la nostra partenza; come l'abbiamo lasciata, a piangere e pregare; in quale ansia siano adesso il senato, il popolo campano, le nostre mogli e i nostri figli! Saranno tutti in piedi, certamente, intorno alle porte, con gli occhi fissi verso la strada che porta a Roma! Che messaggio ci ordinate, senatori, di portare a quegli animi in preda al dubbio e all'incertezza? Una risposta è salvezza, vittoria, luce e libertà. L'altra... fa orrore il solo pensiero di ciò che potrebbe portare. Perciò prendete una decisione sulla nostra sorte, tenendo presente che o saremo vostri alleati e amici, o non esisteremo più del tutto".
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    La città di SiracusaUrbem syracusas maximam graecarum urbium, pulcherrimam omnium saepe audivistis. Ea tanta est urbs, ut ex quattor urbibus maximis eam constare dicamus. Quarum una est ea, quae appellatur <<insula>>, duobus portibus cincta,in qua aedes sacrae complures aedificatae sunt, sed duae longe ceteris antecellunt: Dianae una, et altera,quae fuit ante Verris adventum ornatissima, Minerva. Ibique est etiam fons, incredibili magnitudine plenissimus piscium, cui nomen inditum est Arethusa. Altera autem est urbius, quae appellaturAchradina, in qua forum est maximum, pulcherrimae poticus, amplissima curia templumque egregium Iomvis Olympii, quod tradunt antiquissimis temporibus aedificatum esse. Tertia est quae, quod in ea parte Fortunae fanum antiquum fuit, Tycha nominata est, in qua gymnasium amplissimum est et complures aedes sacrae. Quarta autem est ea urbs, quae,quia postrema aedificata est ab incolis appellata est Neapolis




    TraduzioneVoi avete spesso udito che la città di Siracusa è stata la più grande delle città greche, la più bella di tutte. Essa è una città così grande che è formata da quattro ampissime città, una delle quali è un'isola. In essa vi sono parecchi templi, ma due tali che superano di gran lunga gli altri, uno di Diana e il secondo, che fu ornatissimo prima della venuta di Verre, dedicato a Minerva.
    In quest'isola vi è una sorgente di acqua dolce, che ha nome Aretusa, di straordinaria estensione, pienissima di pesci.
    La seconda città è Acradina, nella quale vi sono una ampissima piazza, dei bellissimi porti, un ornatissimo pritaneo e una grandissima curia.
    La terza è la città che è chiamata Tica, perché in quella parte vi fu l'antico tempio della Fortuna.
    La quarta è invece quella che è chiamata Napoli, perché i Siracusani la costruirono per ultima.
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    Romolo e i primi re di Roma
    Romanorum imperium a Romolo, Rheae Silviae, Vestalis virginis, et dei Martis filio, exordium habet.Romulus urbem exiguam in Palatino monte constitui, civitatemque nomine suo Romam appellat.Multitudinem finitinorum in civitatem recipit et centum ex snibus legit et senatores creat.Quoniam vero Romanis uxores non erant, ad spectaculum ludorum vicinas urbis Romae nationes invitat atque virgines vi rapit.Propter iniuriam raptarumvirginum multa bella commoventur et Romulus Sabinos, Fidenates, Veientes aliasque nationes vincit.Post Romuli mortem per annum unum senatores imperant.Postea Numa Ponpilius rex creatur, qui bellum nullum gerit, sed leges moresque Romanis constituit;Romani civesenim antea consuetudine proeluorum latrones ac semibarbari putabantur. Annum in decem menses describit et infinita Romae sacra ac templa constituit.numae succedit Tullus Hostilius: bella reparat, albanos aliosque populos finitimor vincit et urbi adicit Caelium montem. Triginta et et duos annos regnat, at postea fulmine ictus cum aedibus suis ardet.



    Traduzione
    L'impero dei romani ha inizio da Romolo, Rea Silva, vergine vestale e dal dio Marte. Romolo fondò una piccola città su palatino, e chiama la città dal suo nome Roma. Accoglie in città una moltitudine di confinanti e sceglie cento tra gli anziani e li nomina senatori. Poichè in verità non erano donne ai romani (ossia i romani non avevano donne), invita agli spettacoli di giochi le vicine nazioni della città di roma e con la forza rapisce le vergini. Per l'offesa del rapimento si scatenarono molte guerre e Romolo vinse i sabini, i fidenati, i veienti e altre nazioni. Dopo la morte di Romolo per un anno comandano i senatori. Dopo Numa Pompilio è creato re, che non fa alcuna guerra ma decide leggi e costumi ai romani, i cittadini romani erano per la consuetudine dei combattimenti ladri e semibarbari. Divide l'anno in dieci mesi e costruisce infinite cose sacre a roma e templi. A Numa succede Tullio Ostillio: rinnova la guerra, vince gli albani e altri popoli confinanti e aggiunge alla città il monte Celio. Regna per 32 anni e dopo colpito da un fulmine arde insieme alla sua casa.
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    Versione:"Aristide, condannato all'esilio"

    Versione
    Aristides, quamvis adeo excelleret abstinentia, ut unus illis temporibus Iustus sit appellatus, tam vehementi eloquentia proditionis accusatus est ut populus eum exilio decem annorum damnaverit. Cum iudicio Aristides vidisset quemdam ex suis civibus in tabula scribentem ut ex patria pelleretur,ex eo quaesivit quid Aristides commisisset, cur in exilium eiciendus esset. Qui respondit se ignorare Aristidem neque umquam vidisse, sed sibi displicere, quod Iustus appellaretur. Sexto fere anno postquam erat expulsus, Aristides populi iussu in patriam revocatus est et Atheniensibus praefuit in proelio apud Plataeas. Idem admodum senex e vita decessit in tanta paupertate ut nihil omnino reliquerit.


    Traduzione
    Aristide, sebbene eccellesse così in astinenza da lui solo essere chiamato in quei tempi Giusto, fu accusato per la così tanta eloquenza di tradimento che il popolo lo condannò in esilio per dieci anni. Avendo visto nel giudizio Aristide che uno dei suoi cittadini scriveva nella tavola affinchè fosse cacciato dalla patria gli chiese cosa avesse commesso Aristide e perchè fosse cacciato in esilio. Quello rispose di ignorare Aristide e di non averlo mai visto, ma a lui (displicere) perchè era chiamato Giusto. Nel sesto anno quasi che era stato cacciato, Aristide per ordine del popolo venne richiamato in patria e fu a capo degli ateniesi nella battaglia presso Platea. Così oltremodo vecchio morì in così tanta povertà da non lasciare completamente niente.
190 replies since 30/4/2008
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